Il Real Albergo dei Poveri

Albergo dei Poveri

La storia di questo luogo incredibile nasce più di 250 anni fa, dal sogno di un sovrano illuminato che ha fatto qualcosa di unico ed inimmaginabile all’epoca: ha fatto un enorme palazzo per i poveri di Napoli.

Nella metà del ‘700 non si aspettava che un’iniziativa di un re praticamente insediato da poco fosse mirata proprio verso gli ultimi. Invece, fece proprio questo Carlo di Borbone. Lui progettò insieme all’architetto Ferdinando Fuga, un palazzo gigantesco: il Real Albergo dei Poveri.

Il sogno di un sovrano illuminato

Albergo dei Poveri- cortile interno

L’architettura è semplice, lineare, pulita ma mastodontica. Ci sono 9 km di corridoi, 430 stanze, i soffitti che arrivano anche a 8m: una struttura immensa, di oltre 100.000 m2. È più grande della Reggia di Caserta, più grande di Versailles; e si prevedeva, nel progetto, addirittura di ampliarlo. Infatti, sarebbe dovuto arrivare ad oltre 200.000 m2 diventando l’edificio più grande di tutta Europa!

Napoli era una città grandissima, la terza città più popolosa di Europa, e quindi tra tante persone che vi vivevano c’erano anche molti poveri, bisognava affrontare il problema e Carlo di Borbone, sovrano illuminato, già più di 200 anni fa, affrontò il problema progettando una struttura immensa per dare alloggio e assistenza ai poveri della città.

L’Organizzazione sociale

Albergo dei Poveri: confessionali in muratura

C’era un’organizzazione particolare. Le persone erano di diverse età e di diverso sesso, e allora ci fu una divisione che al tempo era imprescindibile: dal centro del cortile, da dove sarebbe dovuta nascere la chiesa, partono quattro giganteschi bracci ogni uno per settore: una per uomini, uno per donne, uno per bambini e uno per bambine. Questi quattro gruppi non si potevano mai incontrare, per evitare qualunque tipo di problema che al tempo poteva sorgere. I quattro bracci oltre a separare i vari ambienti, servivano anche da confessionali (rarissimi esempi di confessionali in muratura); ogni braccio aveva 24 postazioni, quindi per quattro sono 96 postazioni di confessioni contemporaneamente!

C’era un progetto sociale che vedeva tre aspetti importanti: quello dell’alloggio, quello del lavoro (c’erano dei granai dove si stoccava il grano per poter alimentare le persone, le stesse che soggiornavano nell’albergo, dunque le persone non erano solo qui a soggiornare ma erano qui anche per lavorare); poi si pensava a questi uomini a queste donne fino al giorno della loro morte.

Il cimitero delle 366 fosse

Albergo dei Poveri – cimitero

Era previsto anche un cimitero: il cimitero delle 366 fosse. Progettato nel 1762 da Ferdinando Fuga, stesso progettista dell’albergo dei poveri e dei granai (granili), esso costruisce una macchina cimiteriale senza precedenti storici: un cimitero a fossa comune dove però la fossa comune non è unica ma è suddivisa per 366 fosse. 366 pietre tombali con su inciso un numero che ipotizza la possibilità di andare ad inumare le salme per ogni giorno dell’anno. Questo ne fa un oggetto unico non fosse altro che per la sua capacità di accogliere per la prima volta i resti, le spoglie mortali del popolo meno abbiente. La sua eccezionalità, quindi, è data proprio da questa sua capacità sociale: offrire una casa post mortem anche ai poveri che avrebbero avuto assistenza durante la vita all’interno dell’Albergo dei Poveri.

 

I vari cambi di destinazione

Albergo dei Poveri – interno

Nel tempo l’albergo ha avuto numerosi cambi di destinazione, ma senza mai perdere la sua vocazione per il sociale e per i meno abbienti. Il grande valore di questa struttura era il reimpiego del potenziale umano, soprattutto quello giovanile, che poteva trasformare una classe di poveri in una classe di artefici. Abbiamo detto all’inizio che c’erano uomini, donne, bambini e bambine, questo era il progetto iniziale di Carlo III, poi tutta questa struttura ha cominciato ad indirizzarsi verso i giovani e al loro recupero. Qui i ragazzi hanno imparato una professione, un mestiere: al suo interno c’era una validissima scuola di musica, varie officine e diversi laboratori, dove venivano insegnati i mestieri.

Il serraglio

Nel corso del tempo (prima metà del ‘900), divenne un centro di recupero per ragazzi con delle vite difficili, diventando anche centro per la rieducazione per i minorenni e carcere; per questo tutti lo chiamavano il serraglio. Tutto è proseguito fino al 1980, quando il disastroso terremoto che c’è stato qui a Napoli ha fermato quello che era rimasto delle attività.

Percorrendo questi ambienti, un tempo brulicanti di persone e oggi così deserti e silenziosi, troviamo oggetti che ricordano quei tempi di vita quotidiana: strutture di letti, sedie, lavatrici, scheletri di sgabelli e di tavoli. Sembra di comprendere come qui si svolgesse la quotidianità. Vedere questi oggetti è anche immaginare come si viveva qui e come vivevano qui bambini.

 “Avevamo gli zoccoli, non esistevano le scarpe…ricordo che avevamo i chiodi sotto le scarpe per non farle consumare e quando marciavamo si sentiva, eccome se si sentiva. Ancora sento i passi…

Quale sarà il suo futuro?

Oggi il comune di Napoli ha avviato importanti lavori di restauro per la riqualificazione di questi spazi immensi affinché vengano resi ancora fruibili. Un futuro che dovrà conservare quello spirito sociale di formazione e di reinserimento nella società che aveva fatto conoscere l’Albergo dei Poveri come il grande emporio dove si sono venuti a formare veri e propri talenti nell’artigianato, così essenziale per il tessuto economico e sociale di Napoli.

Il Real Albergo dei Poveri: un’idea di un re, realizzata per i poveri, che ha attraversato i secoli e che oggi potenzialmente può diventare una ricchezza per questa città unica.

 

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